IL TRIBUNALE
   Ha  deliberato  la  seguente ordinanza nel procedimento iscritto al
 numero 338 del registro delle  impugnazioni  delle  misure  cautelari
 personali  dell'anno  1995,  riservato  per la decisione alla udienza
 camerale del 27 giugno 1995;
   Sull'appello proposto nell'interesse di Arena Carmine, nato a Isola
 Capo Rizzuto il 3 gennaio 1959 ed in atto  detenuto  presso  la  casa
 circondariale  di  Catanzaro,  avverso  la ordinanza di rigetto della
 istanza di revoca della misura cautelare della custodia  in  carcere,
 emessa dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di
 Catanzaro in data 13 aprile 1995;
   Esaminati gli atti di causa;
   Udito il relatore;
                            P r e m e t t e
   Avverso  la  ordinanza  sopra  citata  e' stato proposto appello da
 parte della difesa, con atto del 5 aprile 1995.
   Con nota in data 22 giugno 1995 il pubblico ministero ha  segnalato
 l'avvenuto rinvio a giudizio dell'imputato.
   Alla odierna udienza camerale nessuno e' comparso.
   All'esito il Tribunale ha riservato la decisione.
                              R i v e l a
   Trattasi  di gravame proposto nel medesimo processo in relazione al
 quale, e per analoga posizione, e' stata gia' sollevata questione  di
 costituzionalita'.
   Poiche'  gli  argomenti  di  diritto  sono  identici e' sufficiente
 richiamare la ordinanza di questo ufficio in data 3 giugno 1995,  che
 si allega come parte integrante.
                                 P.Q.M.
   Letti  ed  applicati  gli  artt.  1  della  legge  costituzionale 9
 febbraio 1948, n. 1 e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
   Dichiara rilevante  nel  presente  giudizio  e  non  manifestamente
 infondata  la  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 310
 del c.p.p., in relazione all'art. 429 c.p.p., nella parte in  cui  e'
 precluso,  dopo  il  decretato  rinvio a giudizio, il controllo sulla
 persistenza del requisito di "gravita' indiziaria di colpevolezza" ai
 fini  del  mantenimento del regime cautelare, in relazione agli artt.
 3, 24, secondo comma e 111, secondo comma, della Costituzione;
   Ordina che, a cura della cancelleria,  la  presente  ordinanza  sia
 notificata  al  Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai
 Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera  dei  deputati,
 oltre che alle parti;
   Sospende   il   procedimento   in  corso  e  dispone  la  immediata
 trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
   Cosi' deciso in Catanzaro, addi' 27 giugno 1995
                    Il presidente estensore:  Baudi
                             IL TRIBUNALE
   Ha deliberato la seguente ordinanza nel  procedimento  iscritto  al
 numero  225  del  registro  delle impugnazioni delle misure cautelari
 personali dell'anno 1995, riservato per  la  decisione  alla  udienza
 camerale del 30 maggio 1995;
   Sull'appello  proposto  nell'interesse  di Serretti Antonio, nato a
 Cutro  il  23  marzo  1952  ed  in  atto  detenuto  presso  la   casa
 circondariale  di  Catanzaro,  avverso  la ordinanza di rigetto della
 istanza di revoca della misura cautelare della custodia  in  carcere,
 emessa dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di
 Catanzaro in data 27 marzo 1995;
   Sentiti  i  difensori,  avv.ti Luigi Ciambrone e Salvatore Staiano,
 del foro di Catanzaro;
   Esaminati gli atti di causa;
   Udito il relatore;
 P r e m e t t e
   Avverso la ordinanza sopra citata  e'  stato  proposto  appello  da
 parte della difesa, con atto del 4 aprile 1995.
   Con  nota  in data 8 aprile 1995 il pubblico ministero ha trasmesso
 gli atti e,  in  data  29  maggio,  ha  trasmesso  copia  di  decreto
 dispositivo  del giudizio del 16 maggio 1995, anche nei confronti del
 Serretti.
   Alla odierna udienza  camerale,  fissata  per  la  trattazione  del
 gravame,  celebrata  in  assenza  del p. m., la difesa ha eccepito la
 inutilizzabilita' della produzione del p.m., perche'  tardiva  e  non
 rilevante sul piano probatorio, e, nel merito, ha concluso insistendo
 per l'accoglimento dell'appello.
   All'esito il tribunale ha riservato la decisione.
                              R i v e l a
   La  produzione  del p.m. e' legittimamente utilizzabile, sia per la
 ravvisata applicabilita' del disposto dell'art. 603 c.p.p.  anche  in
 materia  di appello cautelare, sia, soprattutto, perche' si tratta di
 atto procedimentale sopravvenuto.
   L'appellante  ha  dedotto  che  l'impianto  indiziario   si   regge
 unicamente   sulle  dichiarazioni  del  collaboratore  di  giustizia,
 Santise  Fortunato,  non  soltanto  rimaste  prive  di  verifiche   a
 riscontro,  quanto compromesse dalla ritenuta (e sopravvenuta, quindi
 allegata come  "elemento  nuovo"  inattendibilita'  intrinseca  della
 fonte,  comprovata  dalle  risultanze  di  altre ordinanze in materia
 cautelare, prodotte a sostegno della originaria istanza di revoca.
   Occorre, pero', prendere atto che, nel frattempo, con  decreto  del
 16  maggio  1995,  l'ufficio  del giudice per le indagini preliminari
 presso questo tribunale ha disposto il rinvio a giudizio  dell'Arena,
 assieme ad altri imputati.
   E' noto, in proposito, l'orientamento giurisprudenziale, secondo il
 quale:  "Attesa  l'intervenuta modifica dell'art. 425 c.p.p., dal cui
 testo, per effetto della  legge  8  aprile  1993  n.  105,  e'  stata
 eliminata   la   parola  "evidente"  (riferita  alla  presenza  delle
 condizioni che, all'esito dell'udienza preliminare, debbono dar luogo
 al proscioglimento dell'imputato), deve ritenersi nuovamente  vigente
 il principio, gia' affermato nella vigenza del codice abrogato,
  secondo  il  quale, in tema di provvedimenti riguardanti la liberta'
 personale dell'imputato, l'avvenuto rinvio a giudizio  di  costui  si
 pone  come  motivo  di  preclusione  in  ordine  alla  proposizione e
 all'esame di ogni questione  attinente  alla  sussistenza  dei  gravi
 indizi  i  colpevolezza"  (cfr.,  da  ultimo, Cass., sez. I, sent. 11
 ottobre 1994 n. 4446, Falcone e, sez.  V,  5  maggio  1994  n.  1652,
 Bonifati  ed  altri,  a  conferma di un orientamento prevalente della
 Cassazione,  in  specie  dopo  la  abolizione  del  requisito   della
 "evidenza"   probatoria   ai   fini  del  rinvio  a  giudizio;  cfr.,
 anteriormente e tra le piu' recenti, Cass., sez. V,  17  marzo  1994,
 Morando e, sez I, 12 febbraio 1994 n. 5196, Russo).
   In  linea  con il citato indirizzo (ed in relazione a casi diversi,
 ma ugualmente significativi), le due pronunce che seguono:
     A) "Detto principio non soffre deroga nemmeno nel  caso  in  cui,
 intervenuta sentenza di condanna, questa, in sede di legittimita, sia
 stata   annullata   con   rinvio  per  difetto  di  motivazione,  non
 comportando  una  tale  pronuncia  il  venir  meno  degli  indizi  di
 colpevolezza  che  a  suo  tempo  avevano  determinato  il  rinvio  a
 giudizio" (Cass., sez I, 7 gennaio 1994 n. 5120, Bontempo Scavo);
     B) "E'' invece  possibile,  anche  successivamente  al  rinvio  a
 giudizio,  rimettere  in discussione il principio, allorquando si sia
 in presenza di fatti nuovi o sopravvenuti che, per cio'  stesso,  non
 vengono  ad essere in contrasto con la intervenuta decisione" (Cass.,
 sez. I, 4 febbraio 1994 n. 5257, Mancion).
   La forza  dell'evidenziato  principio  trova,  dunque,  il  proprio
 fondamento in due argomenti di non trascurabile rilievo:
     1)  la  introduzione  della  modifica  legislativa alla regola di
 giudizio per la emissione del decreto dispositivo del  giudizio,  con
 la  conseguenza  che  la soppressione dell'inciso "evidente" (dopo il
 verbo "risulta") postulando "la insussistenza di  elementi  denotanti
 una  situazione  di  incolpevolezza  o  di  impunita' dell'imputato",
 comporta che "gli elementi di colpevolezza, la  cui  sussistenza  per
 definizione  normativa,  costituisce  motivo  di  legittimazione  del
 provvedimento di rinvio a giudizio, si rendono valutabili  nuovamente
 soltanto all'esito delle indagini dibattimentali";
     2)  la  rivalutazione  della disciplina del rinvio a giudizio nei
 termini  fissati  dall'art.   374   c.p.p.   abrogato,   laddove   la
 giurisprudenza  era  consolidata nell'escludere, una volta emanata la
 ordinanza di rinvio a giudizio, qualsiasi discussione sul  fondamento
 dell'accusa,   sulla  qualificazione  giuridica  del  fatto  e  sulla
 sufficienza  degli   indizi:   conseguentemente,   le   contestazioni
 contenute  in  tale  ordinanza  non  erano modificabili ai fini della
 pronuncia sulla liberta' personale.
   La forza del principio, nel senso che l'apprezzamento degli  indizi
 deve considerarsi rimesso definitivamente al giudice del dibattimento
 nei  suoi  vari  gradi, rende necessitato il ricorso alla verifica di
 costituzionalita'.
   La  questione  e'  rilevante  poiche' la norma di cui si segnala la
 incostituzionalita' (il disposto dell'art. 310 in relazione  all'art.
 429  c.p.p.  nella  parte  in  cui,  alla  stregua  dell'orientamento
 esaminato, e' precluso ogni controllo, sia formale  che  sostanziale,
 in sede di appello cautelare circa la persistenza dei gravi indizi di
 colpevolezza,  dopo il rinvio a giudizio decretato) e' di immediata e
 diretta applicazione nel procedimento.
   Inoltre, la incidenza  e'  di  particolare  pregnanza,  atteso  che
 l'intervenuto  rinvio  precluderebbe  l'esame  del  merito cautelare,
 fatto valere in sede di appello, e fondato su dati  probatori  nuovi,
 idonei  alla  revisione  del quadro indiziario, rispetto ai quali non
 risultano addotte ulteriori  contrapposte  acquisizioni,  se  non  il
 (mero) fatto processuale dell'adottato decreto ex art. 429 del codice
 di rito penale.
   La questione non e' manifestamente infondata.
   La riforma del 1993, abolitiva del requisito della "evidenza" posto
 dall'art.  425  c.p.p., non ha, in effetti, delineato alcun parametro
 sui  poteri  valutativi  del  giudice  a   conclusione   della   fase
 processuale preliminare.
   Non   solo   nessun   dato  normativo  puo'  avallare  la  asserita
 coincidenza del criterio della gravita' indiziaria anche ai fini  del
 rinvio  a  giudizio,  quanto vi ostano precisi, e contrari, argomenti
 sistematici, all'interno del nuovo codice  e  nel  raffronto  con  il
 vecchio regime.
   1.  -  Incontroverso  che  la  valutazione del giudice dell'udienza
 preliminare non puo' fondarsi "sugli stessi parametri delibativi alla
 stregua dei quali il giudice del dibattimento e' chiamato a  decidere
 se  pronunciare  sentenza  di  proscioglimento  o di condanna" (cfr.,
 testualmente, C. cost. sent. n. 82/93), ne consegue che  il  criterio
 decisorio preliminare non puo' individuarsi nella "probabile condanna
 dell'imputato",  poiche'  la  prova  "idonea  a  sostenere una futura
 condanna" e' soltanto quella che si presenti "non insufficiente"  (in
 relazione alla completezza investigativa) e "non contraddittoria" (in
 relazione   al  profilo  valutativo),  imponendo,  al  contrario,  al
 suddetto giudice, nel primo caso (di  prova  "non  sufficiente"),  la
 sollecitazione  ad  integrazione probatoria ex art. 422 c.p.p. e, nel
 secondo (di "prova contraddittoria"), la emanazione  di  sentenza  di
 non luogo a procedere.
   Invece,  la armonizzazione del sistema, nella combinata valutazione
 dei criteri sottostanti alle disposizioni di cui agli artt. 429, 425,
 409 c.p.p. e 125 disp. att. stesso codice, imporrebbe di ritenere che
 il rinvio a giudizio sia legittimato dalla "idoneita' degli  elementi
 acquisiti  nelle  indagini  preliminari  a  sostenere  la  accusa nel
 giudizio"; con la esclusione di una prognosi di colpevolezza.
   2. - Non puo' reggere,  parallelamente,  la  assimilazione  con  il
 vecchio  "proscioglimento  istruttorio",  sia  perche'  la istruzione
 "doveva" essere completa, sia perche', nel dubbio,  era  privilegiata
 la formula favorevole al giudicabile, secondo gli schemi propri di un
 superato modello inquisitorio.
   Oltretutto,  la  "gravita'  indiziaria  di  colpevolezza" impone un
 vaglio  probatorio  critico  di  tasso  piu'  elevato  rispetto  alla
 "sufficienza  probatoria",  all'epoca reputata idonea per il rinvio a
 giudizio.
   3.  -    Il  procedimento  in  materia cautelare personale e' stato
 concepito in termini di autonomia rispetto a quello di merito, per la
 privilegiata garanzia del bene compresso della  liberta',  o  meglio,
 delle liberta' della persona) e per la specificita' valutativa.
   Nulla  esclude  che,  nel  rispetto  della separazione dei giudizi,
 l'imputato sia rinviato a giudizio in stato di liberta'.
   Si indicano, a parametro:
     a) il disposto dell'art. 111.2 Cost., che salvaguarda  la  tutela
 di legittimita', contro i provvedimenti sulla liberta' personale, per
 "violazione   di   legge",   violazione  riscontrabile  vieppiu'  nel
 preliminare controllo di merito, eppure preclusa, nel caso in  esame,
 in  virtu'  di  una presunzione (insuperabile allo stato degli atti e
 preclusiva della rilevanza di ogni intermedia evenienza addotta dalla
 parte   a   sostegno   dell'interposto   gravame)    di    "probabile
 colpevolezza", insita nel (nelle more) decretato rinvio a giudizio;
     b)  il dispositivo dell'art. 3 Cost., per una evidente disparita'
 di  trattamento,  in  contrasto  con  ogni  coerenza  sistematica   e
 ragionevolezza  normativa,  sul tema primario di tutela del dritto di
 liberta', tra indagati ed  imputati  ed  anche  tra  imputati,  avuto
 riguardo  alla  fase  processuale  precedente  la decisione finale di
 udienza preliminare e quella  immediatamente  successiva,  fino  alla
 emissione della sentenza conclusiva del grado, in specie, laddove:
      detta  scelta si coordina con una decisione preliminare, a tasso
 garantistico non ben definito, perche' un errore di prospettiva sulla
 utilita'  del  dibattimento   si   ripercuote   inevitabilmente   sul
 condizionato potere cautelare e senza che sia ammesso un controllo di
 merito,  nemmeno  sul  decreto  di  rinvio  a  giudizio, notoriamente
 inoppugnabile,  eppure  del  tutto  immotivato  (a  differenza  della
 parallela ordinanza dell'abrogato regime processuale);
      l'incidenza  del  decreto  dispositivo del giudizio si pone come
 fatto  occasionale  e  sopravvenuto,  rispetto  a  giudizi  cautelari
 pendenti, come quello in esame;
     c) il disposto dell'art. 24.2 Cost., perche', per le ragioni gia'
 dette,  restringendosi  la  sfera di tutela sulle censure proponibili
 avverso   il   provvedimento   cautelare    impugnato,    ne    resta
 ingiustificatamente  ed  aleatoriamente  sacrificato  il  diritto  di
 difesa in relazione al  bene  primario  della  liberta',  tanto  piu'
 tutelabile,   quanto   piu'  il  sacrificio  di  esso  si  ponga  con
 predominante   efficienza   e   senza   l'adeguato   controllo    sul
 corrispondente fondamento sostanziale di merito.
   Pertanto, il procedimento va sospeso con ogni conseguenza di legge.